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L'olio extravergine di oliva

Una storia del Mediterraneo

Truscia-olio-antica-Grecia

 

L’ulivo, oltre ad essere un albero dalle radici plurisecolari, è anche la pianta arborea da frutto la più diffusa nel mondo, con una superficie di circa 12 milioni di ettari e un numero di piante molto vicino al miliardo, per la maggior parte destinate alla produzione di olio […]. La superficie olivicola risulta triplicata rispetto a quella di inizio ‘900 e quasi raddoppiata rispetto ai 5.500.000 ha, censiti a metà dello stesso secolo.

In termini di numero di ulivi (215 milioni di piante), superficie (2.139.000 ha), produzione (630 mila tonnellate, 17%) ed esportazioni di olio (430 mila tonnellate) l’Italia è seconda al mondo dopo la Spagna, mentre è saldamente al primo posto come importazioni e consumo di olio (40% di quello mondiale) e non ha rivali per quanto attiene alla qualità e al numero di extravergini, biologici, di D.O.P. e di I.G.P. (ben 43).

 

L’ulivo al tempo dei greci 

Le notizie fin qui riportate dimostrano chiaramente la vitalità economica della Calabria in epoca neolitica e mettono in chiaro che l’ulivo, come albero fruttifero, fu conosciuto e piantato in terra calabra, molto prima della venuta dei colonizzatori greci sulle coste ioniche e tirreniche. Accertato, questo, con molta onestà dobbiamo riconoscere ai Greci il grande merito della massima organizzazione, espansione e diffusione dell’olivicoltura non solo nelle fiorenti colonie dello Ionio e del Tirreno, ma in tutta l’area del Mediterraneo. […]

Truscia - Eracle, Atena e l'ulivo sacro

Nella Grecia di Pisistrato, che seguì a Solone e che secondo la leggenda fu il tiranno preferito e protetto dalla dea Minerva, l’ulivo si andò sempre di più intensificando oltre i confini della Grecia e fu considerato come albero consacrato al re degli dei e alla dea della Sapienza, assumendo nel contempo un alto significato simbolico, che rimane ancora oggi attuale e la dice lunga sull’importanza che questo albero ha avuto nel corso dei secoli. […]

Si ricorda nella mitologia che quando fu chiesto all’ulivo di essere il re degli alberi, esso si sottrasse con molta umiltà, sostenendo che troppo gravi erano i compiti affidatigli da Zeus (tra cui quello particolarmente oneroso della custodia della salute dell’uomo inteso nella sua globalità) per poter assumere anche il ruolo di monarca dei vegetali. Alla pianta vennero attribuiti inoltre poteri fecondanti e taumaturgici. Da ciò la costruzione del talamo nuziale (Omero, Odissea, libro XXIII) di Ulisse in un albero di ulivo. […]

È, però, durante l’età di Pericle che l’olivicoltura greca raggiunge il suo periodo aureo. Atene, da piccola città si trasforma in grande centro di traffici e di attività artigianali e commerciali e di questo si avvantaggiò enormemente l’olivo, che si andò irradiando in tutto lo sterile territorio dell’Attica, in modo particolare nelle fertili e fiorenti colonie dello Ionio e del Tirreno. L’olio divenne, così, il fulcro di tutte le imprese coloniali greche e si guadagnò il primo posto tra i prodotti alimentari destinati al consumo e al commercio, contribuendo grazie agli enormi flussi economici che ne derivarono, alla grandezza e allo splendore della Grecia.

 

L’ulivo al tempo dei romani 

Per opera dei Romani la coltura si venne sempre più consolidando, tanto in Europa quanto nell’Africa e nell’Asia. In Europa essa fu introdotta in tutti quei territori nei quali la specie poteva allignare; dall’Italia, alla Spagna, al Portogallo, alla Francia fino all’Inghilterra Meridionale; nell’Africa Settentrionale si spinse verso i limiti del deserto e in Asia occupò diverse aree, anch’esse vicino ai deserti. Va sottolineato un fatto importante: i Romani apprezzarono sicuramente l’olio di oliva per le sue eccelse virtù, per il suo ruolo simbolico e sacrale, per il suo alto pregio alimentare, ma lo tennero in grandissima considerazione soprattutto per le sue enormi potenzialità economiche e commerciali.

Truscia-olio-antica-Roma

Le maggiori preoccupazioni i Romani, infatti, le rivolsero oltre che alla coltivazione (introduzione di nuove pratiche colturali ed emarginazione della cerealicoltura) a tutte quelle operazioni finalizzate all’ottenimento di un prodotto di buona qualità quantitativamente valido. Curarono, pertanto nei minimi particolari la raccolta, la macinatura, la pressatura del frutto e la sua conservazione. A loro va il merito di aver segnato marcatamente gran parte del paesaggio olivicolo calabrese e di aver organizzato razionalmente la distribuzione e il commercio dell’olio, di aver costituito sofisticati ed efficienti sistemi di stoccaggio dell’olio, di aver attivato la cosiddetta arca olearia, una sorta di borsa dell’olio di oliva, dove collegi di importatori negotiatores oleari trattavano i prezzi e le qualità dell’olio […].

È certo che all’approssimarsi dell’epoca imperiale la produzione olearia costituiva una delle maggior fonti di ricchezza dell’impero. Le navi olearie romane in continuazione, cariche di orci, solcavano il Mediterraneo portando in Italia il prezioso prodotto, proveniente dai tributi esatti dalle colonie. Plutarco afferma che i possedimenti africani di Roma fruttavano allo stato ben tre milioni di libbre di olio e Plinio nella Naturalis Historia descrive ben 48 qualità di olio, provenienti dai rinomati oliveti delle colonie greche calabresi, dalla Sabina, da Venafro, dall’Istria, da Granata, dall’Andalusia.

 

L’ulivo nella Calabria del Settecento

In terra calabra, un aumento importante della produzione di olio si ebbe nella prima metà del XVIII secolo. Infatti, nel Settecento, un’altra pianta si va diffondendo in Calabria soppiantando progressivamente il gelso: l’olivo. L’olio, tassato in misura inferiore rispetto alla seta e meno esposto alle vessazioni, finisce col rappresentare una delle voci più importanti dell’esportazione regionale, tanto che la sua produzione arriva in Calabria, nella seconda metà del secolo, a superare addirittura quella pugliese. […] Un caso tra i più significativi riguarda il feudo di Maida durante la dipendenza da Carlo Ruffo che, nonostante la sua attenzione per la gelsicoltura, procede all’importante trasformazione fondiaria di Campolongo, dove impianta migliaia di nuove piante e procede alla costruzione di frantoi. Nel 1728, Carlo fa piantare 3.750 olivi […]. Si può dire, quindi, che il paesaggio agrario calabrese si trasformi completamente in questo periodo: dalla cerealicoltura si passa all’olivicoltura.

Questo farà della Calabria una terra profondamente legata alla coltivazione dell’ulivo e dei suoi frutti nel corso dei secoli a venire.

C’è qui un albero piantato

dalla mano dell’uomo

che rigogliosamente verdeggia

in questa terra:

l’olivo dalle foglie glauche

alimento dei bambini,

che mai nessuno estirperebbe

con le proprie mani

poiché ad esso guardano gli dei…

(Sofocle, Edipo a Colono).

 

I testi di questa sezione sono tratti dalle pubblicazioni:
L’ampolla di Nausicaa. L’olio extravergine d’oliva un tesoro di salute (2016, Rubbettino) del Dott. Pietro Gullo.
Di Terra e di Mare (2004, Rubbettino), di Saverio Di Bella e Giovanni Iuffrida.